Italo Calvino

Cosimo, il cavaliere e le api

… Ma c’era un segno che ricorreva sempre in quei paraggi: delle api che volavano. Cosimo finì per convincersi che la presenza del Cavaliere era collegata con le api e che per rintracciarlo bisognava seguirne il volo. Ma come fare? Attorno a ogni pianta fiorita c’era uno sparso ronzare d’api; bisognava non lasciarsi distrarre da percorsi isolati e secondari, ma seguire l’invisibile via aerea in cui l’andirivieni d’api si faceva sempre più fitto, finché non si giungeva a vederne una nuvola densa levarsi dietro una siepe come un fumo.

Là sotto erano le arnie, una o alcune, in fila su una tavola, e intento ad esse, in mezzo al brulichio d’api, c’era il Cavaliere.
Era infatti quella dell’apicoltura, una delle attività segrete del nostro zio naturale; segreta fino a un certo punto, perché egli stesso portava a tavola ogni tanto un favo stillante miele appena tolto dall’arnia…
…Era la primavera. Cosimo un mattino vide l’aria come impazzita, vibrante d’un suono mai udito, un ronzio che raggiungeva punte di boato, e attraversata da una grandine che invece di cadere si spostava in una direzione orizzontale, e vorticava lentamente sparsa intorno, ma seguendo una specie di colonna più densa. Era una moltitudine d’api: e intorno c’era il verde e i fiori e il sole; e Cosimo che non capiva cos’era si sentì preso da un’eccitazione struggente e feroce. – Scappano le api! Cavalier Avvocato! Scappano le api! – prese a gridare, correndo per gli alberi alla ricerca del Carrega.
-Non scappano: sciamano, – disse la voce del Cavaliere, e Cosimo se lo vide sotto di se, spuntato come un fungo, mentre gli faceva segno di star zitto. Poi subito corse via, sparì. Dov’era andato?
Era l’epoca degli sciami. Uno stuolo d’api stava seguendo una regina fuori del vecchio alveare. Cosimo si guardò intorno. Ecco che il Cavalier Avvocato ricompariva dalla porta della cucina e aveva in mano un paiolo e una padella. Ora faceva cozzare la padella contro il paiolo e ne levava un deng! deng! Altissimo, che rintronava nei timpani e si spegneva in una lunga vibrazione, tanto fastidiosa che veniva da turarsi le orecchie. Percuotendo quegli arnesi di rame ogni tre passi, il Cavalier Avvocato camminava dietro lo stuolo delle api. A ognuno di quei clangori, lo sciame pareva colto da uno scuotimento, un rapido abbassarsi e tornar su, e il ronzio pareva fatto più basso, il volare più incerto. Cosimo non vedeva bene, ma gli sembrava che adesso tutto lo sciame convergesse verso uin punto nel verde, e non andasse più in là. E il Carrega continuava a menar colpi nel paiolo.
– Cosa succede, Cavalier Avvocato? Cosa fa? – gli chiese mio fratello, raggiungendolo.
– Presto, – farfugliò lui, – va sull’albero dove s’è fermato lo sciame, ma attento a non muoverlo finché non arrivo io!
Le api calavano verso un melograno. Cosimo vi giunse e dapprincipio non vide nulla, poi subito scorse come un grosso frutto, a pigna, che pendeva da un ramo, ed era tutto fatto d’api aggrappate una sull’altra, e sempre ne venivano di nuove ad ingrossarlo.
Cosimo stava in cima al melograno trattenendo il respiro. Lì sotto pendeva il grappolo d’api, e più grosso diventava e più pareva leggero, come appeso a un filo, o meno ancora, alle zampette d’una vecchia ape regina, e fatto di sottile cartilagine, con tutte quelle ali frusciantiche stendevano il loro diafano colore grigio sopra le striature nere e gialle degli addomi.
Il Cavalier Avvocato arrivò saltellando, e reggeva tra le maniun’arnia. La protese capovolta sotto il grappolo. – Dai, – disse piano a Cosimo, – una piccola scossa secca.
Cosimo scrollò appena il melograno. Lo sciame di migliaia di api si staccò come una foglia, cascò nell’arnia, e il Cavaliere la tappò con una tavola. – Ecco fatto.

Tratto da Italo Calvino, Il barone rampante, Mondadori

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