Libri su L’Apis

La custode delle api e del miele (L’Apis – febbraio 2016)

Cristina Caboni è apicoltrice e soprattuto autrice prolifica, a distanza di un anno dal suo primo romanzo bestseller è già in libreria con un nuovo libro dall’accattivante titolo “La custode del miele e delle api” (Garzanti, 2015, 324 pp, 16,40 €). Un racconto ambientato nella sua terra, la Sardegna, in un paese immaginario ma verosimile, un’isola piccola di fronte all’isola grande, un luogo dal nome Abbadulche per via delle api che addolciscono la sua fonte d’acqua. Soprattutto un luogo incantato, che i protagonisti del libro vorrebbero incontaminato, al riparo da azioni che possano deturpare natura, ambiente e tradizioni. Sì, perché gli ingredienti per essere al tempo stesso un romanzo rosa e un romanzo “civile” ci sono tutti: trama amorosa che si snoda via via, a dir il vero un po’ scontata e prevedibile, e due personaggi, Angelica e Nicola, che incarnano le alternative possibili ad un mondo che insegue profitto e sviluppo (in)sostenibile.

Angelica fa la libera professionista come esperta di api&miele. Gira con un gatto, un cane ed un camper dove ha raccolto tutta la sua vita, un’esistenza itinerante e tendenzialmente solitaria, piena di nostalgia per Margherita detta Jaja che le ha insegnato a cantare alle api, ad avvicinarle senza avere paura, ad avere una relazione esclusiva con questi piccoli insetti, sorelle al pari delle donne che Jaja accoglie e aiuta in casa, con in sottofondo anche se non esplicitato il tema della violenza e delle ingiustizie che molte donne subiscono. Un rapporto appassionato che si contrappone al conflitto antico con la madre, Maria, che l’ha strappata all’isola della sua infanzia per portarla in una città che non l’ha accolta. Nicola, invece, è l’emigrato privilegiato e ricco che ha fatto carriera, si è laureato brillantemente al Nord ed è diventato il “tagliatore di teste” di una grande società, finché non molla tutto e decide di tornare in Sardegna, vivendo più che altro in barca e cercando di evitare le questioni di famiglia. Fino a quando non arriva una eredità a scombinare i piani dei due, a farli incontrare e scontrare di nuovo, a distanza da quegli anni in cui erano cresciuti bambini assieme, entrambi custodi di un segreto che sono tenuti a proteggere e che non sveleremo certo qui. Anche perché è un romanzo che si legge velocemente, il ritmo non è sempre all’altezza delle aspettative e la narrazione oscilla fra la descrizione puntuale e la suggestione un po’ troppo sdolcinata, ma restituisce al grande pubblico un ritratto intenso del mondo delle api. L’occhio (e la mente) dell’esperta/o di analisi sensoriale potrebbero sussultare un po’ ogni volta che si legge che un miele può rafforzare la volontà, l’altro è quello del buonumore o guida “i gesti del cuore verso la felicità”: a questo tono un po’ troppo new age che attraversa tutto il romanzo è preferibile l’eco dei saperi tramandati oralmente nelle antiche culture come quella sarda e su tutti resta una curiosità: conoscere la canzone che Jaja cantava, per poterla cantare ancora.

 

Anna Karenina (L’Apis – marzo 2016)

«Attraversato il prato di sbieco, Konstantín Lévin uscì sulla strada e incontrò un vecchio con un occhio gonfio, che portava un paniere per sciamare con le api.

– Che? ne hai chiappate forse, Fomíc? – egli domandò.

– Maccé chiappare, Konstantín Mítric! Si potessero solo conservare le nostre. Ecco ch’è andata via per la seconda volta la regina…»: compaiono così “le api”, all’improvviso, o meglio scappano via, dopo duecento pagine almeno [così nell’edizione Einaudi Tascabili, con prefazione di Natalia Ginzburg] e dopo che si è dispiegata in tutta la sua complessità la trama di Anna Karenina, noto romanzo di Lev Tolstoj pubblicato per la prima volta a puntate nel 1875.

Tantissimi i personaggi, donne e uomini legati da vincoli familiari e affettivi di vario grado, all’inizio si fatica a non confonderli. Fra Mosca e San Pietroburgo, fra aristocratiche città e campagna contadina, fra adulteri e ipocrisie, si snoda la storia dell’amore appassionato e infelice di Anna Karenina per il conte Vronskij e quello pacato ma felice fra Kitty e Lévin.

Tutto ha inizio dal tradimento di Stepàn Arkad’ič Oblònskij, detto Stiva, che cerca di convincere la moglie Dar’ja Aleksandrovna, detta Dolly, a non lasciarlo e per questo chiede aiuto alla sorella Anna, che parte in missione da San Pietroburgo dove vive con il marito Aleksei Aleksandrovič Karenin e il loro unico figlio. Nel frattempo, arriva a Mosca anche un amico di infanzia di Stiva, Konstantin Dmitrič Lévin, detto semplicemente Lévin, per chiedere la mano della sorella minore di Dolly, Katerina Aleksandrovna Ščerbackaja, detta Kitty. Lévin è un animo sensibile e pensatore, vive in campagna in una tenuta dove gestisce lui stesso le relazioni con chi lavora la terra, contadini russi in epoca di riforma agraria, e non è difficile rivedere in lui lo stesso Tolstoj, sebbene l’autore arriverà addirittura a rinnegare questo suo romanzo.

Kitty rifiuta la proposta di matrimonio di Lévin perché in cuor suo vorrebbe ricevere la richiesta dall’ufficiale dell’esercito Vronskij che invece per caso incontra Anna Karenina: il destino è per loro fatale, si innamorano e inizia la loro tormentata storia, fra minacce del marito di Anna, stratagemmi per salvare le apparenze, viaggi in Europa, una gravidanza faticosa, una bimba dello stesso nome della madre e un finale tragico, quasi a ribadire l’incipit del romanzo: «tutte le famiglie felici si assomigliano fra loro, ogni famiglia infelice è infelice a suo modo».

Ma il destino fa un giro strano e tornano a incontrarsi Lévin e Kitty, dopo che ella, ferita dal rifiuto di Vronskij, si era ammalata di mal d’amore ed era andata a curarsi in Germania. Il futuro per loro riserva un matrimonio e un figlio, ma soprattutto quella che Lévin ritiene una vita solidale e autentica in campagna, al riparo dal chiacchiericcio dei salotti, dai sensi di colpa e da sentimenti turbolenti. Forse per questo, le api, dopo aver svolazzato solo in qualche altra pagina del testo, tornano nel finale, a sottolineare la “morale” dell’intera storia: l’incontro di Lévin con la fede in Dio, con la purezza della natura ma anche con l’integrità del suo animo, rimasto intatto nonostante i tormenti interiori, forte delle sue credenze e delle sue lotte: «Esattamente nello stesso modo come le api che adesso gli volavano intorno, lo minacciavano e lo distraevano, gli toglievan la piena calma fisica, lo obbligavano a contrarsi, sfuggendole, esattamente così le preoccupazioni, circondatolo dal momento in cui era salito sul barroccino, lo avevano privato della libertà dell’anima; ma quest’era continuato soltanto finché egli era stato in mezzo ad esse. Come, malgrado le api, la forza corporale era intatta in lui, così era anche intatta la sua forza spirituale da lui novellamente riconosciuta». Con le api Lévin torna “in sé dalla realtà”, ritrova il suo tempo e spazio, pronto ad affrontare il mondo.

[Contribuiamo con queste brevi recensioni, insieme ad altre colleghe e colleghi, alle pagine Ami su LApis]

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